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Summary Leopardi: Pensiero e Spiegazione delle Poesie

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Leopardi: Pensiero e Spiegazione delle Poesie ( metafore, similitudini, anafore...), tutto spiegato nei minimi dettagli.

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  • October 9, 2023
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  • 2022/2023
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LEOPARDI
INTRODUZIONE A LEOPARDI
Leopardi è una figura complessa sia come persona che come autore, complesso anche nel suo
pensiero e quindi bisogna tenere presente tutti una serie di fattori che hanno accompagnato la sua vita
(un pò come quando abbiamo fatto Alfieri, Foscolo, abbiamo spiegato la loro psicologia, il motivo delle
loro decisioni, anche con Leopardi bisogna agire così). Fondamentale nella vita di Leopardi è stato
sicuramente il rapporto con la madre e anche la figura del padre che non era molto presente, nel senso
che era più presente la madre rispetto al padre.


Vita
L'ambiente familiare e la formazione
Nel 1798 il borgo di Recanati si trova ai confini di uno degli Stati più arretrati d'italia,
quello pontificio, in una realtà del tutto marginale, lontana dai fermenti politici, sociali e
culturali suscitati in Italia e buona parte dell'Europa prima dalla cultura illuminista e poi
dagli ideali della Rivoluzione francese.
(Questa introduzione sembra inutile ma invece è molto importante nella formazione della personalità di
Leopardi perché Recanati era in una posizione particolare: stava nelle Marche, alle spalle ci sono le
montagne e di fronte c’è il mare, ed era una zona abbastanza arretrata e anche isolata dal punto di vista
culturale, politico e sociale. Questa cosa a Leopardi peserà tantissimo, il fatto di essere isolato dal resto
dell’Italia, infatti Leopardi scrive lettere, giornali perchè lui vuole inserirsi nella vita politica, sociale del suo
tempo, ne sente il bisogno, mentre la madre era una donna che tendeva ad isolarsi, voleva per forza
rimanere isolata e questa cosa è importante perché Leopardi caricherà la sua vita giovanile di tante
aspettative nei confronti del mondo da cui poi rimarrà deluso, quindi il suo rapporto con la società, è
anche questo uno dei fattori che contribuisce al suo pessimismo. Quindi non è solo un fatto personale, il
fatto che lui è malato e storpio oppure dal rapporto malvagio che aveva con la madre ma era anche il
rapporto che aveva con la società, quindi quando noi parliamo di Leopardi lo dobbiamo considerare a 360
gradi, tutti i suoi rapporti, tutte le sue esperienze che volta per volta lo hanno cambiato, hanno modificato
il suo pensiero, lui aveva tante aspettative dalla realtà, lui sognava di uscire da Recanati e di trovare un
mondo come se lo era immaginato però poi quando entra in quel mondo, nel mondo vero rimane deluso,
questo è un elemento che contribuisce al suo pessimismo).

In quell'anno, nel piccolo centro marchigiano, nasce Giacomo Leopardi, primogenito di una nobile
casata, figlio del conte Monaldo e di Adelaide Antici.
Il padre, eccentrica figura di gentiluomo di provincia, è un bibliofilo erudito, infaticabile intellettuale
conservatore (classicista), difensore accanito della politica ecclesiastica, tenace oppositore di ogni riforma
politica. Genitore affettuoso quanto possessivo, esercita da subito un'influenza fondamentale nel favorire
l'inclinazione del figlio alle lettere: possiede infatti una notevole biblioteca ricca di opere classiche,
filosofiche e teologiche,per la quale ha dilapidato il pur cospicuo patrimonio.
( Quindi è una persona che vive in una bolla tutta sua, al di fuori della politica e di tutto quello che stava
succedendo in Italia, attaccato al classicismo, e amante del topo di biblioteca che gli fonde nel figlio
primogenito il piacere della lettura dei libri, aveva una biblioteca enorme e il figlio da adolescente leggerà
tutti i libri presenti in quella biblioteca e infatti gli verrà un malattia agli occhi, quindi la sua formazione è
una formazione unilaterale perché la biblioteca del padre era una biblioteca conservatrice, era
ecclesiastica e quindi lui si forma su quelle letture li, inizialmente).

La madre, austera e rigorosamente religiosa, è una donna poco incline alle manifestazioni di affetto
(quindi il padre era affettuoso nei confronti del figlio però di un affetto sempre indirizzato al mondo dei libri,
la madre che sapeva di avere affianco un uomo che se non gli toglieva i soldi da mano avrebbe mandato
la famiglia in rovina aveva preso le redini economiche della famiglia, quindi gestiva lei il patrimonio ed era
una donna fredda, perchè Leopardi scrive lo Zibaldone che era un’opera che era la raccolta di tutti i suoi

,pensieri, una mescolanza di cose, scrive di tutto, non è sotto forma di diario ma è sotto forma di appunti,
parla molto della madre perché la odiava perché non riusciva a capire come quella donna era così
fredda): la sua inattaccabile severità è dovuta soprattutto all'educazione bigotta e alla pesante
responsabilità di far fronte a un bilancio familiare reso pericolante dalle avventate speculazioni
finanziarie del marito.
Giacomo vive la sua fanciullezza in questo ambiente: una fanciullezza, tuttavia, non
infelice, vivacizzata dai giochi con i fratelli minori Carlo e Paolina ( per i suoi fratelli faceva di tutto,
inventava i racconti, le fiabe per tenerli contenti, felici, lui era anche il loro protettore in un certo senso; i
fratelli sono complessivamente dieci, ma solo alcuni supereranno l'infanzia), ai quali racconta favole
ispirategli dalla sua innata fantasia.

Il ragazzo ha un'intelligenza prodigiosa; inizialmente è educato da precettori ecclesiastici
che però non sono in grado di impartirgli insegnamenti adeguati alle sue possibilità, poi si
forma come autodidatta: nelle quattro stanze della biblioteca paterna, tappezzate da qua-
si 16000 volumi, apprende il greco e l'ebraico, si cimenta nelle prime prove filologiche,
immagina sui libri l'esistenza di una realtà viva e lontana dal suo angusto e gretto mon-
do paesano. Sono gli anni (1808-1815) che Leopardi stesso immortala come quelli dello
«studio matto e disperatissimo», che gli procura una straordinaria erudizione:
«Certo nessuno è stato testimonio del suo affaticarsi più di me», ricorderà anni dopo il fratello Carlo, «che,
avendo sempre nella prima età dormito nella stessa camera con lui, lo vedeva [vedevo], svegliandomi
nella notte altissima, in ginocchio avanti il tavolino per poter scrivere fino all'ultimo momento col lume che
si spegneva».
A questo periodo risalgono i primi componimenti, già espressione di ampi interessi culturali: si spazia
dai versi in latino a quelli in volgare di ispirazione classicistica o arcadica (è il caso di tragedie come La
virtù indiana, scritta nel 1811 a soli tredici anni, e Pompeo in Egitto, 1812), dalle traduzioni poetiche
(Orazio, Mosco e 'Odissea soprattutto) agli studi filologici, dai trattati di argomento scientifico (Storia
dell'astronomia, 1813) alle ricerche di stampo illuministico (Saggio sopra gli errori popolari degli antichi,
1815).
(Lui riesce comunque a procurarsi i libri di origine illuministica, il padre era classicista quindi barra
illuminista quindi legato all’illuminismo moderato, quindi troppo illuminista non poteva essere).

Le "conversioni" e l'infelicità del giovane poeta
Giacomo non ha ancora abbandonato le idee paterne, conservatrici in politica, religione e
letteratura, quando nel 1817 l'amicizia epistolare con lo scrittore Pietro Giordani (1774-1848),
intellettuale laico e democratico, lo stimola ad un importante ampliamento di prospettive.
( Lui comincia a scriversi con Pietro Giordani perchè legge su una rivista il suo articolo, perché Leopardi
cercava di farsi arrivare i giornali perché erano coloro che lo facevano essere aggiornato con la società,
quindi lesse una lettera di Pietro Giordani su uno di questi giornali e gli scrisse,Giordani trovo interessante
che questo ragazzo di 18 anni gli aveva scritto e quindi comincia questa amicizia soltanto di tipo
epistolare. Pietro Giordani è stato un momento importante della sua vita perché gli ha aperto delle
prospettive e lo ha fatto uscire da quel mondo isolato, cioè il mondo di Recanati).
E in questa fase che possiamo situare la cosiddetta "conversione letteraria", ossia il passaggio dalla
fase erudita ( fino a 17, quindi fino a quando lui è isolato dal mondo) e di studio a quella della
composizione creativa. Infatti, dopo aver letto i poeti contemporanei - da Foscolo a Goethe, da Alfieri a
Monti - e preso posizione nella polemica tra Classicisti e Romantici con una Lettera ai sigg. compilatori
della "Biblioteca italiana" (in risposta al saggio di Madame de Staël), che però non viene pubblicata, dà
avvio nel 1819 alla sua vera e propria produzione lirica con la stesura dei primi Idilli ( le sue prime opere,
che poi si divideranno in Piccoli Idilli e Grandi Idilli, lui li divide così e li chiama così).
(Quindi intorno ai 18 anni conosce Pietro Giordani, Pietro Giordani gli apre le prospettive e lui comincia a
leggere da Foscolo a Goethe, da Alfieri a Monti, tutti romanticisti e avviene la conversione letteraria,
quindi passa dalla fase dell’erudizione alla fase della poesia, interviene anche nella polemica classica

,romantica dalla parte dei classicisti però non gliela pubblicano neanche questa lettera: nella prima parte
della lettera lui dice delle cose, nella seconda parte della lettera lui poiché l’aveva ripresa e rimaneggiata
e poiché erano passati gli anni e il suo pensiero era mutato, ci sono delle contraddizioni nella seconda
parte della sua lettera e andava più verso il romanticismo).

A soli vent'anni la sua salute comincia a essere minata: Leopardi soffre di scoliosi, di febbri continue e
soprattutto di disturbi agli occhi. Nel contempo emergono i primi segni di insoddisfazione e di malessere,
per cui il giovane accusa soprattutto il paese e l'ambiente retrivo in cui vive, «tana, caverna», dove «tutto
è morte, tutto è insensataggine e stupidità». In particolare l'amicizia con Giordani gli fa prendere
coscienza del desiderio di uscire dall'anonimato e confrontarsi con una cultura più ampia e moderna,
acuendo in lui la
percezione di costrizione e soffocamento che prova a contatto con un mondo opprimente. ( La madre
avevano una concezione aristocratica per cui lei non permetteva ai figli di scendere nel paese quando
c’erano le feste di paese, non permetteva che i suoi figli che erano aristocratici si mischiassero alla
massa, e quindi i cittadini di Recanati li odiavano e quindi erano isolati. Quindi lui odia Recanati perchè i
Recanatesi li odiavano però lui arriva ad odiare perché si sentivano superiori alla popolazione).

Il bisogno di spezzare l'isolamento si traduce nel progetto di abbandonare il paese; così, nel 1819, egli
tenta invano una fuga da Recanati, spinto dal desiderio di sottrarsi alla noia e alla disperazione: il
passaporto, che segretamente si è fatto fare, finisce nelle mani del padre. Scrive in diverse lettere a
Giordani di sentirsi «mangiato dalla malinconia, zeppo di desideri, attediato, arrabbiato» (agosto 1818),
«stordito dal niente che mi circonda, senza «più lena di concepire nessun desiderio, né anche della morte,
non perch'io la tema in nessun conto, ma non vedo più divario tra la morte e questa mia vita, dove non
viene più
a consolarmi neppure il dolore» (novembre 1819), «stecchito e inaridito come una can-
no secca, e nessuna passione trova più l'entrata di questa povera anima» (marzo 1820).

Anche la fede, inculcatagli dalla madre, non lo sorregge più: avviene qui la "conversio-
ne filosofica" («dal bello al vero», quindi quando subentra la sua parte razionale al bella viene sostituito
il vero quindi abbiamo la fase filosofica, ha avuto una conversione letteraria e poi una conversione
filosofica, quindi abbiamo che cade la religione e si ricerca la verità in maniera filosofica), che gli ispira
una nuova visione della vita, avversa a ogni credo religioso e vicina alle tesi del materialismo
settecentesco, alle quali resterà legato fino alla morte.

Un'amicizia intellettuale: Giordani e Canova (leggere)
Pietro Giordani fu un letterato dai molteplici interessi e dalle variegate amicizie: nel 1810 compose il
Panegirico ad Antonio Canova per celebrare la lunga amicizia che lo legava allo scultore veneto,
massimo artista del Neoclassicismo italiano. I due si incontrano a Roma nel 1806, quando Canova è
già molto affermato: ne nasce un lungo scambio epistolare che prosegue per decenni e che testimonia del
reale sentimento di affetto intellettuale che intercorre tra Giordani e lo scultore, ormai all'apice della fama.
Nel 1809 Canova aveva infatti realizzato uno dei suoi capolavori, il Ritratto di Paolina Borghese in veste
di Venere vincitrice, che ritrae Paolina Bonaparte, la sposa di Camillo Borghese, allungata su un letto
coperto da morbidi cuscini, come una dea antica, mentre regge in mano una mela che allude al giudizio di
Paride.
Antonio Canova, Ritratto di Paolina Borghese come Venere
vincitrice (particolare), 1804-1808. Roma, Galleria Borghese.


In cerca della libertà
Nel novembre 1822 Leopardi ottiene di poter lasciare Recanati (quindi riesce ad ottenere il permesso
dalla madre di lasciare Recanati, che non riusciva più a stare lì) e coronare il sogno di conoscere, dal vivo

, e non solo dalle pagine dei libri, realtà diverse che, secondo le sue illusioni giovanili, gli permetteranno di
sfuggire alla morsa della sofferenza esistenziale.
La meta è Roma, dove lo zio Carlo Antici, persona con buone entrature, spera di fargli
ottenere una sistemazione presso la Curia. Il progetto però non va in porto (perchè vengono a
conoscenza delle idee atee di Leopardi) e il soggiorno di Leopardi termina nell'aprile del 1823: cinque
mesi segnati dalla profonda amarezza nel constatare la distanza tra la -città immaginata e quella reale,
che egli trova vuota, corrotta, dissipata, popolata da intellettuali boriosi e provinciali, occupati in sterili
diatribe accademiche.
( Leopardi è rimasto deluso, lui si accorge della vuotaggine di questi salotti e quindi decide di tornare a
Recanati).
Al ritorno a Recanati, il poeta traccia un primo bilancio della propria esistenza, stra-
ziato dalla sensazione di aver scoperto la propria infinita solitudine. Così scrive al pa-
dre Monaldo pochi giorni prima di tornare a casa: «Io sono naturalmente inclinato al-
la vita solitaria. [.…] nella solitudine io rodo e divoro me stesso. [...] qualunque soggiorno
m'è indifferentismo»

Incupita la sua concezione della vita, Giacomo riversa negli scritti un pessimismo assoluto: il frutto di
questa radicalizzazione del pensiero è un primo gruppo di Operette morali, in prosa.
( Quindi se durante la sua conversione letteraria, quando comincia a scrivere le poesie, scrive i Piccoli
Idilli che sono dei capolavori, poi nella sua conversione filosofica smette di scrivere la sua ricerca del vero,
smette di scrivere poesia e scrive filosofia e scrive queste opere che sono a sfondo filosofico, si sono
presi a capelli i critici sul fatto se Leopardi è un filosofo? Le operette morali sono opere filosofiche? non
sono opere filosofiche? Fondamentalmente possiamo affermare con certezza che Leopardi nonostante il
suo pensiero sia concentrato sull’esistenzialismo che anticipa il 900, durante il Romanticismo abbiamo
l’idealismo che non cerca l’esistenza, l’esistenzialismo lo avremo nel 900, quindi è un grande anticipatore,
quindi nonostante si concentra su tematiche di tipo esistenziale non è un filosofo, perché lui non ha un
pensiero omogeneo, coerente, lui filosofeggia, si fa domande sul senso della vita però non lo fa nel senso
filosofico, quindi Leopardi è un poeta. Le operette morali non sono un’opera filosofica, c’è fantasia quindi
non sono un’opera filosofica nonostante c’è la presenza del dialogo, quindi lui ha voluto riprendere il
modus di Platone, di stampo classicista quindi).

Ormai emancipato, per età ma non economicamente, dalla tutela dei genitori, è libero di muoversi da
Recanati: nel 1825 si reca a Milano, dietro invito dell'editore Stella, per curare una collana di opere
classiche latine, ma la precarietà delle sue condizioni fisiche gli impedisce di guadagnarsi da vivere («io
sono», scrive nello Zibaldone, «si perdoni la metafora, un sepolcro ambulante, che porto dentro di me un
uomo morto, un cuore già sensibilissimo che più non sente»); quindi, si trasferisce a Bologna, dove si
mantiene grazie a «importunissime» lezioni private e poi, dopo un'altra sosta a Recanati, a Firenze (dove
conosce Manzoni, intento ad adeguare i Promessi sposi alla lingua fiorentina), per poi soggiornare a
Pisa, dove trascorre l'inverno del 1828, confortato dal clima mite della città.




Gli ultimi anni
Nella primavera del 1828, Leopardi è intanto tornato alla poesia, come scrive egli stesso nella lettera del
2 maggio 1828, alla sorella Paolina: «E dopo due anni, ho fatto dei
versi quest'Aprile, ma versi veramente all'antica, e con quel mio cuore d'una volta» ( questo serve per dire
che ha anche una parte sentimentale, si conosce solo il Leopardi didatticamente parlando). Si tratta dei
cosiddetti "grandi idilli", altrimenti detti "canti pisano-recanatesi". Vengono infatti composti tra Pisa e
Recanati, dove il poeta è costretto a tornare («'orrenda notte di Recanati mi aspetta», scrive il 19 giugno

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